lunedì 27 agosto 2012

L'IO, IL TU,IL NOI: COME ENTRARE IN RELAZIONE CON L'ALTRO MANTENENDO LA PROPRIA IDENTITA'

Tra i meravigliosi miti del filosofo Platone, ce n’è uno chiamato “Il mito di Aristofane” o” Mito dell’androgino”, che tratta l'immortale tema dell'amore. Il mito narra di come un tempo i primi abitanti della terra fossero esseri androgeni, uomo-donna fusi insieme, esseri che avevano in comune caratteristiche maschili e femminili, esseri perfetti che non mancavano di nulla. In quel tempo tutti gli esseri umani avevano due teste, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali. Per via della loro potenza, gli esseri umani erano superbi e tentarono la scalata all'Olimpo per spodestare gli dei. Zeus, che non poteva accettare un simile oltraggio, decise di intervenire e con un fulmine, divise in due parti le androgine cerature. In questo modo gli esseri umani così divisi e s'indebolirono. Da quel momento il loro destino è quello di tendere alla ricerca della loro antica unità e della perduta forza; è da questa divisione in parti che nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità. Secondo il mito di Platone, da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione. Due sono le tipologie d'amore contemplate: il rapporto omosessuale (se i due partner facevano parte in principio di un essere umano completamente maschile o completamente femminile) e il rapporto eterosessuale (se i due facevano parte di un essere androgino). “Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore” (Platone, Simposio, 192e-193a) E questo era il mito. Saremmo tentati di credere che questa sia la spiegazione, se non altro logico-pragmatica (“tendere all’unità per ritrovare la forza perduta”) dello stare insieme!! L’idea espressa nel mito è molto bella e può evocare sfumature romantiche o ironiche a seconda di chi lo ascolta. Soffermiamoci un attimo su quelle romantiche: la ricerca dell’”altra metà del cielo”, della “metà della mela”, del “pezzo mancante” (ahi!) ecc. Siamo cresciuti tutti (o quasi) sotto la parziale influenza di questi “miti”. Tuttavia, presi dal romanticismo che tanto ispirano tali concetti, tendiamo a tralasciare un aspetto importante per la nostra crescita ed evoluzione personale: l’individualità. La coppia dovrebbe assumere la caratteristica di contenere in sé due esseri finiti e completi ancora prima di scegliersi. E’ importante riconoscersi all’interno di essa come individuo, con i propri ritmi, i propri bisogni, i propri valori pur facendo parte allo stesso tempo, di un sistema (il sistema coppia); questo per favorire l’accettazione delle differenze tra i individui all’interno della relazione. Riconoscere i propri intimi bisogni e la propria diversità, significa anche riconoscere la propria identità e creare con essa un rapporto di continuità. Spesso invece tendiamo a voler eliminare queste differenze nel tentativo di evitare il conflitto o compiacere il partner, senza accorgerci che paradossalmente, così facendo, smettiamo di piacergli. In alcuni casi ci siamo così tanto adeguati all’altro da non riconoscerci più, e neanche l’altro finisce per trovare in noi ciò che lo aveva fatto innamorare (non è raro per esempio, che per stare con il partner vengano messe in secondo piano le proprie amicizie e i propri interessi). E’ importante quindi imparare a sentire che lo strumento che possiamo utilizzare affinché l’io non si perda nel noi è quello di essere costantemente presenti alla nostra vita e alle nostre esigenze. Centrarsi su di sé dunque. E’ fondamentale trovare e conservare il piacere che deriva dall’essere noi stessi senza farci condizionare dai desideri del partner. Se impariamo a fare questo, potranno giovarne anche eventuali relazioni future, nelle quali entreremo con una maggiore “centratura” su noi stessi. Molto spesso, invece, con il procedere della relazione facciamo l’esatto contrario! La nostra identità si modifica tendendo all’uniformità con chi ci sta accanto; in questo atto, rischiamo di perdere la nostra individualità, dimenticando che il partner ci aveva scelto proprio in quanto altro da lui/lei. L’atto del centrarsi su di sé da parte dei membri di una coppia, implica il posizionarsi e il trovare una “giusta” distanza; giusta per quel tipo particolare di coppia. La distanza quindi va negoziata e condivisa dai partner. A tal proposito, il breve passo del seguente articolo esprime bene il concetto di “sana distanza”. Fonte: http://www.anthroposmagazine.com/sito/ http://www.anthroposmagazine.com/sito/articolo.php?id=55 La “sana” distanza Nella relazione di coppia bisognerebbe imparare dai porcospini della favola di Schopenhauer: Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali, finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. (“La favola dei porcospini”; A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, II, 2, cap. 30, 396) “Mantenere una moderata distanza” dice la favola; invece tendiamo ad annullarla e ad annullare le differenze per adeguarci alle esigenze di chi vive con noi, senza renderci conto che questo è il modo più rischioso per vivere una relazione. L’altro infatti, se inizia vederci così diversi da come gli siamo piaciuti, può perdere interesse e allontanarsi. Quando ci si innamora di qualcuno è normale cercare di costruire un’unità fusionale in cui i contorni fra noi e il partner si perdono. Questa fase serve per definire il confine della nuova relazione e per separarla dal resto del mondo. E’ importante però sapere che ciò non può funzionare a lungo; affinché una relazione cresca e si evolva, bisogna che a un certo punto i membri della coppia recuperino la propria individualità: questo non significa allontanarsi davvero, ma ritrovare se stessi confrontandosi con l’altro senza perdersi in lui/lei. Paradossalmente il recupero della nostra reciproca identità, non solo ci porterà nuovamente al raggiungimento della nostra autonomia, ma anche l’altro finirà per riconoscerci per come gli siamo piaciuti nel momento in cui ci ha scelto.
                                                                                    Dottoressa Francesca Caputo
                                                                                          www.ricominciodaqui.it

Nessun commento:

Posta un commento